Intervista concessa da Jacques CHIRAC, Presidente della Repubblica, al Corriere della Sera

Intervista concessa da Jacques CHIRAC, Presidente della Repubblica, al Corriere della Sera


Palazzo dell'Eliseo, venerdi' 24 novembre 2006.


DOMANDA – Due domande d'obbligo, signor presidente : molti si chiedono se abbia intenzione di ricandidarsi all'Eliseo?

IL PRESIDENTE – “Mi esprimerò al momento opportuno, nel primo trimestre dell'anno prossimo. Nell'attuale sistema quinquennale, non è immaginabile che la Francia si fermi e che il governo smetta di lavorare per mesi prima delle elezioni. La maggioranza e il governo devono lavorare fino all'ultimo minuto al servizio dell'insieme dei francesi.”

DOMANDA – Come vede la possibilità che una donna diventi presidente della Francia?

IL PRESIDENTE – Non vedo chi potrebbe essere contrario. Durante la mia presidenza, abbiamo fatto molti sforzi per migliorare la parità fra uomo e donna, anche sul piano elettorale.”

DOMANDA – Parità quindi anche all'Eliseo?

IL PRESIDENTE – Un presidente deve essere eletto in funzione del suo carattere, delle sue proposte e delle sue opzioni politiche fondamentali sottoposte al giudizio dei francesi. Non è certo un problema di sesso.”

DOMANDA – In occasione di incontri ufficiali, la Francia e l'Italia sottolineano la loro fraternità. Eppure, è talvolta difficile stabilire una collaborazione più profonda, in particolare in campo economico. Ci può dire in quali settori spera che il vertice odierno segni delle evoluzioni?

IL PRESIDENTE – Per i francesi, l'Italia è un po' "il partner del cuore" in Europa. L'ispirazione italiana è onnipresente in Francia e questo non è cosa di ieri. Le nostre economie sono interdipendenti. Siamo entrambi membri fondatori dell'Unione Europea e, a tal titolo, assumiamo una responsabilità particolare. La Francia e l'Italia sono due potenze mediterranee molto sensibili all'idea di una solidarietà tra le due sponde del nostro mare comune.

È vero che in questi ultimi anni, i rapporti tra i nostri governi non sono stati, per varie circostanze, tanto densi e produttivi quanto avremmo auspicato. Se giudico dai miei primi contatti con il Presidente Prodi – un amico e un partner di lunga data! – le cose cambiano ed il vertice è l'occasione per dare un nuovo slancio alla nostra cooperazione. I temi dell'innovazione e della ricerca, sono essenziali per il futuro dei nostri paesi e dell'Europa. Avevo proposto, vari mesi fa, che la Francia e l'Italia associassero poli di competitività e distretti tecnologici. Sono felice che questa idea incontri l'accordo del governo italiano. Questa cooperazione sarà facilitata dalla presenza di Pasquale PISTORIO, vice-Presidente della Confindustria, al Consiglio di Amministrazione dell'Agenzia francese per l'innovazione industriale.

DOMANDA – La fusione GDF-Suez ha provocato in Italia l'impressione profonda di un “patriottismo economico” che rende difficile la presenza di aziende straniere in Francia. A suo parere, come superare queste difficoltà? L'ingresso nel mercato francese di un partner solido e di fiducia come Enel, può rimettere in discussione il concetto di "patriottismo economico"?

IL PRESIDENTE – Non bisogna confondere la realtà ed alcune percezioni. Non si sa abbastanza che la Francia è il secondo partner economico dell'Italia, che vi sono oltre 20 miliardi di euro di investimenti italiani in Francia e circa altrettanti di investimenti francesi in Italia che l'Italia registra un eccedente di circa 1 miliardo di euro nei suoi scambi con la Francia!

La Francia ha un'economia aperta sul mondo, all'interno della quale le imprese straniere, ed in particolare quelle italiane, sono molto presenti.
Per quanto riguarda l'energia, vogliamo stabilire una vera e propria strategia europea. La fusione tra GDF e Suez è un progetto che ha senso sia da un punto di vista industriale sia strategico. È volta a creare un campione europeo di dimensioni mondiali, nel rispetto del diritto comunitario, come la Commissione ha riconosciuto. Per riprendere la sua espressione, direi che si tratta di promuovere il "patriottismo economico europeo".
Per il resto, spetta alle aziende condurre negoziati per immaginare prospettive strategiche riguardanti il loro futuro.

DOMANDA – Tutte le grandi economie europee devono affrontare problemi di spesa pubblica e riforme strutturali. Lo ”Stato provvidenza” è rimesso in discussione, ma i tentativi di riforma provocano movimenti di protesta, talvolta anti-europei. Come si modernizzerà la Francia, pur preservando il proprio ”modello sociale” in una prospettiva europea?

IL PRESIDENTE – Il "modello sociale europeo" si adatta perfettamente alla mondializzazione in quanto non si è efficaci, innovativi, creativi se non si gode di tutele sufficienti di fronte ai rischi della vita – la malattia, l'infortunio sul lavoro, la vecchiaia, la dipendenza. Ora, l'innovazione è il maggiore asso nella manica del mondo odierno, ma ciò presuppone che i nostri sistemi di protezione sociale siano costantemente adattati e modernizzati.
Contrariamente a quanto si sente qua e là, queste riforme vengono condotte ovunque in Europa. Riescono perfettamente quando sono spiegate, elaborate nel dialogo sociale e giuste nel loro contenuto. In Francia, l'abbiamo mostrato, per esempio, con la riforma delle pensioni, che garantisce il loro equilibrio fino al 2020 pur accordando nuovi diritti ai dipendenti che hanno iniziato a lavorare molto giovani.
La Francia è uno dei primi paesi ad uscire dalla procedura di deficit eccessivo. Passiamo nettamente sotto la sbarra del 3 %. Ho voluto diminuire anche il debito pubblico: - 3 % di PIL in due anni.

DOMANDA – Varie personalità francesi, che appartengono anche alla sua ”famiglia politica”, deplorano un declino della Francia, chiamando in causa disoccupazione, perdita di competitività e crisi di fiducia della società. Come spiega questa tendenza al ”declinismo”?

IL PRESIDENTE – Se avessimo ascoltato coloro che da anni, per non dire secoli, deplorano il declino della Francia···Dal canto mio, guardo sempre alla realtà dei fatti.
La realtà è che dall'inizio del 2005, in Francia, la disoccupazione diminuisce mese dopo mese: abbiamo 350 000 disoccupati in meno. Questo calo riguarda tutte le categorie della popolazione, dai giovani ai disoccupati strutturali. Deriva dal dinamismo delle nostre aziende, che hanno ritrovato tutta la loro fiducia nel futuro e che assumono.
La Francia è la 6° potenza economica mondiale, il 5° esportatore, il 4° paese per l'accoglienza degli investimenti stranieri, il 3° esportatore di servizi, il 2° paese per l'esportazione di prodotti agro-alimentari e per la produttività oraria. E tutto ciò con l'1% della popolazione mondiale. Questo posto nel mondo non è scontato. È il frutto degli sforzi dei francesi, della loro capacità di adattamento, del loro gusto per l'innovazione, del loro spirito imprenditoriale.

DOMANDA – Nel mese di marzo sarà celebrato il 50° anniversario del Trattato di Roma e sarà adottata una nuova Dichiarazione per l'Europa. Dopo i "no" francesi e olandesi al referendum sul trattato costituzionale europeo, pensa che la Francia possa ancora svolgere un ruolo trainante per rilanciare il progetto europeo?

IL PRESIDENTE – Il 50° anniversario del Trattato è una scadenza importante per l'Unione. I 27 dovrebbero adottare una dichiarazione politica ambiziosa. Con l'Italia, auspichiamo che sia volta verso il futuro, verso le grandi sfide che il nostro continente deve rilevare nella mondializzazione. Ci lavoreremo con la prossima presidenza tedesca.
I giovani sono il futuro dell'Europa. Ecco perchè considero che l'iniziativa di accogliere un «Vertice della gioventù» a Roma nel marzo 2007 sia ottima. Questo Vertice consentirà ai giovani europei di condividere esperienze. Auspico soprattutto che i mezzi finanziari dedicati al programma di scambi universitari Erasmus, che è un enorme successo, aumentino significativamente nel corso dei prossimi anni.
Vorrei anche rendere omaggio al Presidente Napolitano che organizzerà al Quirinale, nella primavera 2007, una mostra che riunisce i capolavori degli Stati membri. Perchè l'Europa è anche e sempre un'ambizione culturale. La Francia presenterà un'opera fondamentale, il Pensatore di Rodin, illustrazione del genio dell'artista.

DOMANDA – La Finul rafforzata è ormai operativa in Libano, grazie, in particolare, al contributo dell'Italia e della Francia. Questa assunzione di responsabilità da parte di Parigi e di Roma può consentire all'Europa di svolgere un ruolo più determinante in questa regione? A suo avviso, la Finul può davvero utilizzare la forza e rispondere quindi ad eventuali violazioni della tregua?

IL PRESIDENTE – Ho molto apprezzato, durante tutta la crisi di quest'estate, la grandissima prossimità tra l'Italia e la Francia ed il mio dialogo costante con il Presidente PRODI. I nostri due paesi sono stati in prima linea per difendere il ritorno alla pace, il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale del Libano.
La Francia ha insistito perchè la FINUL disponesse di un mandato e di una catena di comando chiari, robuste regole di impegno e mezzi importanti. Erano e restano per me, le condizioni della credibilità della Forza e quindi della sua capacità di realizzare le sue missioni. Abbiamo ottenuto quel che auspicavamo e la Francia, come l'Italia, sono state pertanto in grado di impegnare sul campo mezzi sostanziali. Se vi aggiungiamo il contingente spagnolo ed il dispositivo navale tedesco, i paesi europei costituiscono oggi la colonna vertebrale della FINUL. Quest'ultima ha i mezzi per compiere la missione che le è stata affidata dal Consiglio di Sicurezza.
Mi rallegro di questo impegno europeo. Conferma che l'Europa non è soltanto un finanziatore e che, in questa regione del mondo a cui è così vicina, l'Europa ha la volontà e la capacità di svolgere un ruolo politico di primo piano. È la ragione per cui, nello stesso spirito, stiamo riflettendo con l'Italia e la Spagna ad un'iniziativa dell'Unione europea sul conflitto israelo-palestinese. Javier SOLANA vi è associato, e questa iniziativa deve essere estesa analogamente ad un contributo del Regno Unito e della Germania.

DOMANDA – Qual'è la sua reazione di fronte all'assassinio di Pierre GEMAYEL? Rimette in discussione la fondatezza dell'azione della Comunità internazionale in Libano?

IL PRESIDENTE – Ho condannato con la massima fermezza quest'odioso attentato. Mi unisco al dolore della famiglia GEMAYEL ed a quello di tutto il popolo libanese. Ancora una volta, i nemici del Libano cercano di far tacere, anche eliminandoli, tutti coloro che credono in un Libano democratico e pienamente sovrano.
Sono convinto che i libanesi sapranno reagire con il sangue freddo necessario ed affronteranno questa nuova prova con determinazione e nell'unità.

DOMANDA – Condivide il giudizio di Romano Prodi sulla situazione?

IL PRESIDENTE – “Condivido la stessa inquietudine. Quanto alle iniziative da mettere in opera, avremo occasione di parlarne oggi.

DOMANDA – La guerra in Iraq ha creato divisioni in Europa e incomprensioni tra la Francia e l'Italia. Il disastro provocato dal conflitto dimostra oggi che la Francia aveva ragione. Pensa che l'incomprensione tra la Francia e gli Stati Uniti sia stata superata e che la crisi in Libano confermi la necessità di un approccio multilaterale alle crisi internazionali?

IL PRESIDENTE – Tutti ricordano che la Francia, con altri paesi, si era interrogata sulla legalità e l'opportunità di un intervento militare in Iraq. Temevo le conseguenze devastanti di una guerra in una regione già in preda all'instabilità. Di fronte al regime di Saddam Hussein, pensavo che soltanto l'azione collettiva della comunità internazionale avrebbe potuto dare la legittimità, quindi l'efficacia. Ho agito di conseguenza e ho preso le mie responsabilità. Oggi ognuno può giudicare.
Gli Stati Uniti sono ritornati al loro livello tradizionale di qualità tra alleati. La nostra cooperazione nelle istanze multilaterali, all'ONU in particolare, ne dà una giusta illustrazione.
In Iraq, abbiamo attualmente lo stesso obiettivo: far uscire questo paese dal caos verso il quale rischia di essere trascinato, rendere al suo popolo la pace, la stabilità e la prosperità a cui aspira. Dobbiamo lavorare prioritariamente con i paesi della regione per il rispetto dell'integrità territoriale dell'Iraq e per il ripristino della sua sovranità piena e intera.

DOMANDA – L'immigrazione costituisce uno dei principali problemi dell'UE. In alcuni paesi questo fenomeno raggiunge proporzioni drammatiche, soprattutto in Italia e in Spagna. Quali sforzi la Francia è pronta a condurre per un'armonizzazione della politica di immigrazione in Europa?

IL PRESIDENTE – Ogni paese deve poter scegliere la propria politica migratoria, in funzione dei suoi bisogni, delle sue tradizioni, delle sue solidarietà. Ma nel mondo moderno, con la spinta migratoria causata dagli squilibri demografici ed economici, con la continuità territoriale introdotta dallo spazio Schengen, l'immigrazione necessita chiaramente di un trattamento europeo. È giunto il momento per l'Unione Europea, di definire una politica europea dell'immigrazione. Dovrà armonizzare le prassi in materia di diritto d'asilo, conformemente alla convenzione di Ginevra naturalmente, migliorare la sorveglianza delle frontiere, la lotta contro le filiere mafiose di immigrazione clandestina, che sono uno degli scandali del nostro tempo, fissare orientamenti comuni per quanto riguarda le regolarizzazioni. Su quest'ultimo punto, ritengo che ogni paese membro del sistema Schengen debba, come minimo, associare gli altri alle sue decisioni, tenuto conto delle sue ripercussioni per tutti.
Questa politica europea, fondata sulla messa in comune dei mezzi degli Stati membri dovrebbe ispirarsi a due principi: la necessaria protezione delle frontiere esterne dell'Unione europea, naturalmente, ma anche l'esigenza di un trattamento umano di questa questione.
Non vi è politica credibile senza uno sforzo forte di aiuto allo sviluppo dei paesi del Sud. Gli Africani non lasciano la loro terra per piacere. La lasciano perchè non possono trovarvi i mezzi per una vita degna. Bisogna quindi accelerare la crescita economica in Africa. È per l'Europa, un'esigenza di sicurezza esattamente quanto un dovere morale.

DOMANDA – Signor, presidente, vorrei infine chiederle qual è stato, nella sua lunga presidenza, il momento che considera più significativo.

IL PRESIDENTE – “Certamente, il momento in cui i francesi mi hanno dato la loro fiducia per rappresentare i valori della Repubblica. Sul piano internazionale, la presa di coscienza che la mondializzazione dell'economia non può essere concepita senza mondializzazione della solidarietà. Il risultato della mondializzazione dell'economia è che un numero sempre maggiore di ricchezze si concentrano nelle mani di un numero sempre minore di persone nel mondo. Non si può continuare così. Occorre dare ai Paesi poveri i mezzi del loro sviluppo. Occorre trovare altri mezzi per finanziare lo sviluppo e per integrare le disponibilità di budget dei singoli Stati ricchi. Penso ad una sorta di tassazione sulla crescita delle ricchezza internazionale e degli scambi internazionali.”

DOMANDA – Per questo sua visione, i biografi sostengono che lei sia un uomo di destra con un cuore a sinistra.

IL PRESIDENTE – “Non è una questione di destra o di sinistra. E' una questione di moralità. La pratica della mondializzazione così come viene imposta dai Paesi ricchi è incompatibile con l'idea che mi sono fatto della morale del mondo. In secondo luogo, c'è anche un interesse politico : il sistema, così com'è, è destinato ad esplodere se non reagiamo. Portati all'eccesso, tutti i sistemi - il comunismo come il liberalismo – non funzionano.”

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